La vera storia della pizza più divisiva di sempre: la pizza all’Ananas

Le origini di un abbinamento inusuale

La pizza: difficile vincere un’ipotetica scommessa che ne metta in gioco l’assoluta diffusione planetaria. Se poi in Italia si tratta di un’icona che scatena classifiche, clamori e spesso anche polemiche, all’estero è un prodotto quasi altrettanto diffuso anche se fa meno rumore. A questo proposito non bisogna però dimenticare quanto gusti e abitudini alimentari cambino da una popolazione all’altra e le farciture, anche le più improbabili, ne risentano nel bene e nel male.

Pizza all’ananas: una storia lunga sessant’anni

Non fa eccezione la pizza all’ananas, con la sua storia lunga ormai quasi sessant’anni. Va da sé che di primo acchito qualunque italiano, sentito nominare un abbinamento del genere, tenderà a storcere il naso. Magari solo fino a quando non avrà l’occasione di assaggiarne l’interpretazione di un maestro indiscusso come Franco Pepe, il quale dal suo presidio di Caiazzo è riuscito a creare notevoli opere di gusto a partire dalla celeberrima Margherita “Sbagliata”. Prima di arrivare a esser presa di mira – nel senso più nobile del termine – da Pepe, questa pizza ha però percorso le strade del Nord America: tutto inizia nel 1962, quando Sam Panopoulos, un cuoco di origine greca trasferito in Ontario dall’età di vent’anni, realizza dopo un viaggio negli Usa e diversi tentativi la sua idea di pizza all’ananas. Certo che sarebbe piaciuta grazie al sapore dolce (e anche al fatto che la pizza non era ancora molto diffusa su quel territorio), iniziò a servirla in un locale chiamato “The Satellite”: in pratica si trattava di una margherita con ananas sciroppato e prosciutto cotto. Se però non ebbe il successo sperato in Canada, fu negli Stati Uniti che si diffuse e prese il nome di Hawaiian pizza: qualcuno sostenne che l’ispirazione fosse venuta a Panopoulos dal “toast Hawaii” farcito di prosciutto, formaggio e – appunto – ananas, creato da un cuoco tedesco di nome Clemens Wilmenrod, ma il greco smentì categoricamente l’ipotesi. 

Un caso internazionale

Intorno a questa pizza (per qualcuno addirittura blasfema) si sono scatenate perfino accese diatribe internazionali, come quella tra il presidente islandese Guðni Thorlacius Jóhannesson e il canadese Justin Trudeau, avendola il primo definita “la madre di tutte le barbarie gastronomiche”. In visita a un liceo, alla domanda sulla sua posizione in merito da parte di un gruppo di studenti i quali la ritenevano uno dei loro piatti preferiti, ha risposto (scherzosamente, si intende) di essere “fermamente contrario all’ananas usato come topping” ammettendo anche che avendone avuta la possibilità avrebbe scelto di bandire dal suo paese una pizza con una farcitura del genere: apriti cielo, la cosa ha generato notevole scompiglio sui social, facili si sa agli scandali di qualunque ordine e grado. Quello che è stato definito anche “ananas-gate” si è concluso con un post su Facebook, tradotto anche in inglese e con il titolo “una dichiarazione sulla controversia della pizza”. “Mi piace l’ananas, ma non usato in questo modo”, ha specificato Jóhannesson e ha continuato sottolineando di non avere il potere di vietare alle persone di mettere l’ananas sulla pizza, ben contento di non avere tale facoltà e dichiarandosi convinto che nessuno dovrebbe avere poteri illimitati. Ha infine aggiunto che non avrebbe mai voluto vivere in un paese dove un presidente può proibire ciò che non piace a lui. Conclusione? “Suggerisco la pizza ai frutti di mare”, ha scritto. 

La rivisitazione del maestro Franco Pepe

E un po’ di confusione l’ha messa in moto anche Franco Pepe quando durante Identità Golose 2019 ha deciso di proporre una sua personale versione di pizza con l’ananas fino a farla diventare piatto dell’anno per il congresso. Al di là della validità di ogni classifica, sta di fatto che il pizzaiolo in questione è fuor di dubbio un guru riconosciuto in materia, così gli indici di attenzione sono decisamente schizzati in alto alla notizia del suo esperimento, a suo dire di una sorta di riflessione: “esattamente il simbolo di una filosofia e di come oggi si lavora sulla pizza e su qualunque genere di ingrediente”. L’ha chiamata “AnaNascosta”, si può assaggiare nella sua pizzeria Pepe in Grani a Caiazzo in provincia di Caserta e pare tutto sia nato dalla domanda di un giornalista a Hong Kong, il quale gli chiese se lui si sarebbe mai cimentato con una pizza del genere. Così Pepe inizia un percorso analitico che lo porta a domandarsi se un abbinamento con l’ananas in farcitura sarebbe stato un’eresia concepibile solo da palati distorti oppure invece con gli opportuni accorgimenti avrebbe potuto funzionare anche in un contesto complesso come il nostro. Il pomodoro della versione originale, innanzitutto, creava insieme all’ananas una sorta di “doppia acidità” che provocava un gusto sgradevole e una difficile digeribilità. Altra questione il fatto che la frutta arrivasse da un barattolo, sciroppata e quindi cotta ed esageratamente ricca di zuccheri, cui andava ad aggiungersi la dolcezza del prosciutto cotto di bassa qualità. Un problema fondamentale di ingredienti, quindi, ma anche di esecuzione. Come far arrivare l’ananas in modo da renderlo gradevole? Innanzitutto non scaldandolo ma avvolgendolo in un prosciutto crudo, un San Daniele nella fattispecie. Sapidità bilanciata in arrivo dal crudo, quindi, inserito intorno all’ananas in un cono da friggere all’interno del quale creare un rivestimento di Grana Padano Dop stagionato 12 mesi. Una spolverata di liquirizia completa l’opera rendendola innegabilmente divertente e piuttosto gustosa da mangiare: decisamente, al di là di ogni pregiudizio più o meno giustificato, questa creazione di Franco Pepe va assolutamente assaggiata. Anche perché l’ananas si presenta nella sua freschezza e la frittura è eseguita con tutti i crismi e non risulta né troppo unta né pesante. Da un punto di vista strettamente nutrizionale la pizza concepita da Pepe è decisamente più leggera, con un apporto di zuccheri inferiore rispetto alla frutta sciroppata che – conservata nelle scatole di latta – perde inoltre moltissimo nell’apporto di minerali rispetto a quella fresca.

L’ananas “nascosto”

Da dove arriva quindi il nome AnaNascosta? Di fatto, dall’esigenza di nascondere alla vista il frutto, in modo tale da evitare una percezione visiva che avrebbe potuto inficiare l’idea stessa del sapore: Pepe ha infatti raccontato che se avesse provato a proporre una pizza all’ananas ai suoi clienti sarebbe sicuramente stato preso per pazzo. Come ha dichiarato ancora lui stesso: “la propongo senza spiegare di che cosa si tratti, aspettando la reazione degli ospiti che è sempre di piacevole stupore, perché non credono alle loro papille gustative”. Perché i sapori devono dialogare tra loro, senza alcun condizionamento e la risposta deve arrivare esclusivamente dal gusto.

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