
Le informazioni necessarie per una corretta gestione della pizzeria, attraverso la comprensione del food cost e i cambiamenti in atto nel settore
Cos’è e come si definisce il food cost nella gestione di una pizzeria? Prima di spiegarlo è necessario capire cosa si intende per gestione: secondo una recente indagine di Unioncamere il 45% dei locali (siano essi ristoranti, pizzerie o bar) chiude i battenti dopo i primi tre anni di attività e questa percentuale cresce quando, dopo cinque anni dall’inaugurazione, ad abbassare le saracinesche sono tre locali su quattro. Un dato che fa riflettere sulla capacità imprenditoriale che determina la ristorazione in questi ultimi anni. Quali sono le ragioni di queste chiusure? Tante, a cominciare dalla diffusa e crescente improvvisazione che ha spinto molte persone a investire nei consumi fuori casa.
Un mercato che non ha mai smesso di crescere fino all’anno del Covid, dove, visto da fuori, sembra molto appetibile e facile crearsi un ruolo, una clientela. Cosa vuoi mai che ci voglia a fare una pizza, sembrano dirsi in tanti. Ma dietro a ogni scelta imprenditoriale ci vuole un progetto, una disamina dei costi e dei ricavi, una certa disponibilità economica iniziale, altrimenti è meglio lasciar perdere.
Soprattutto in un settore, quello dei consumi fuori casa, sia che si tratti di un ristorante o di una pizzeria, dove gli elementi da tenere sotto controllo sono talmente tanti e imprevedibili, da richiedere una grande forza d’animo e una spiccata tendenza alla razionalità che non è patrimonio comune. Come deve essere il locale, in quale posizione, quanti coperti per creare un guadagno, quale menù potrà far breccia, quale musica di sottofondo, trovare il personale giusto, quali ricavi dovranno essere messi su una ricetta di pizza, quanto magazzino di bevande dovrà essere necessario, verranno le persone, come farle venire, come fidelizzarle. Di fronte a questi quesiti, e ne abbiamo riportati solo alcuni, ci si dovrebbe rendere conto che non basta saper fare una pizza, anche se è importantissimo.

Ecco, dunque, l’importanza di quella parola – food cost – che aiuta a risolvere una gran parte dei quesiti che abbiamo evidenziato. Con questo termine si indica l’insieme dei costi di produzione, gestione, conservazione e servizio necessari perché il cibo, nel nostro caso la pizza, arrivi al cliente generando il giusto profitto al titolare della pizzeria. Infatti non è sufficiente, come purtroppo spesso accade, avere una vaga idea di quanto costino le proposte in menu o essersene fatta una stima approssimativa. Facendo così si rientra velocemente nel dato negativo espresso dalla ricerca di Unioncamere che abbiamo citato all’inizio.
Determinare il food cost – letteralmente il costo del cibo – non è un esercizio facile per nessuno ma alcuni suggerimenti possono venire in aiuto:
- Fare una previsione di quante pizze venderai sulla base delle vendite precedentemente effettuate, in base alla domanda del periodo.
- Evitare il più possibile sprechi o comunque tieni sempre conto di quello che è poco venduto dal menu delle pizze. Uno degli errori più comuni è realizzare menu con moltissime proposte; crea confusione nel cliente, non è più un elemento di richiamo, offre l’idea di un utilizzo di materie prime scadenti o a basso costo.
- Avere sempre aggiornati gli inventari della pizzeria, con una cadenza regolare.
- Tenere in considerazione anche i consumi del personale: le loro pizze non rientrano nel venduto ma nel consumato si.
Con questi piccoli suggerimenti entriamo nella determinazione di un food cost della pizza, prendendo come esempio la pizza che troviamo in ogni pizzeria d’Italia: la Margherita.
Ipotizziamo che il costo della materia prima per fare una pizza Margherita sia il seguente:
0,19€ (farina)
0,10€ (acqua, lievito, sale, olio)
0,13€ (pomodoro)
0,89€ (mozzarella)
0,05€ (basilico)
Il totale fa 1,36 euro. Interessante direte, visto che una Margherita si vende mediamente, nelle pizzerie italiane, a un prezzo che varia da 5,6 a 7 euro.
Ma il problema è che un food cost corretto deve tenere conto di molti altri fattori, quali:
- costo della mise en place;
- costo del personale e dei titolari;
- costo del cartone per l’asporto;
- ammortamento del costo delle attrezzature per l’impasto (impastatrice, banco, lavello, tramoggia, bilancia);
- ammortamento del costo delle attrezzature per pizza (forno, frigo, pale);
- ammortamento del costo delle attrezzature per la sala (tavoli, sedie, posate);
- costi di locazione e di struttura;
- spese generali (tasse, pulizie, manutenzione, sicurezza ed ambiente, haccp, pubblicità)
Solo sommando tutti questi valori, suddivisi per giorni di lavoro, si potrà ottenere il costo reale della pizza Margherita richiesta dal cliente. E dalla somma di questi valori si dovrà applicare un 20% di ricarico per poter ottenere un guadagno onesto nell’attività.

Cosa si ricava da tutto questo? Innanzitutto che non è facile, come sembra all’apparenza, fare questo lavoro. Il cibo è emozione, prepararlo è passione, su questo non ci sono dubbi, come altrettanta importanza riveste la necessità di saper offrire proposte di qualità, capaci di conquistare il palato della clientela. Su queste cose nessuno discute, anzi. Si è visto chiaramente che il prezzo delle materie prime è quello con la minor incidenza sul costo finale e, proprio per questo, fare la pizza con materie prime di assoluta qualità e il minimo di spreco attribuisce al locale una marcia in più, una più elevata possibilità di essere scelto.
Un menù ben studiato nell’ottica del food cost proporrà un giusto numero di pizze: né troppe né troppo poche, in modo da offrire al cliente una scelta adeguata, tenendo controllati gli acquisti degli ingredienti utilizzati per la preparazione, senza rischiare inutili sprechi.
Tutti questi accorgimenti sono determinanti per progettare un menu adeguato, contenere i costi, individuare la fetta di mercato più idonea in cui inserirsi e adeguare tempestivamente la propria offerta in modo da massimizzare i profitti.
Queste riflessioni si inseriscono in un cambiamento radicale in corso nel mondo delle pizzerie; oggi la pizza, oltre ad essere l’alimento più consumato al mondo, è interpretata come momento di forte socialità, per la sua semplicità di consumo, per vivere serenamente, e senza rischi per la sicurezza alimentare dal momento che gli ingredienti restano sempre ben visibili, il momento del consumo. Basti pensare a come stanno cambiando anche i locali: sempre meno affollati di tavoli, con arredamenti belli, di design molte volte, dove le persone non stanno più sedute per il tempo veloce della pizza ma vi trascorrono l’intera serata, magari abbinando alla pizza altri piatti.
E anche in questo momento così incerto lo stesso fenomeno del food delivery vede la pizza sempre al primo posto, ma con la volontà dei consumatori di avere un prodotto comprensibile, in ogni modo possibile: è attento il consumatore a tutto quello che riguarda il cibo, e sempre più orientato a scegliere locali e pizzaioli che mettono la grande qualità degli ingredienti al primo posto delle loro scelte produttive.
Fare la pizza significa, quindi, rispondere a un bisogno che è ormai insito nelle scelte abituali delle persone, nei loro gusti. Sembra incredibile pensare che un semplicissimo disco di pasta inventato a Napoli nel Settecento oggi abbia conquistato tutto il mondo, eppure è esattamente quello che è successo e che, con ogni probabilità, resisterà e crescerà ancora a lungo.
Il motivo? Non c’è un solo motivo, ma quello più importante, quello che ne ha consentito una dimensione internazionale, è che la pizza è adattabile a ogni usanza alimentare. Non ci sono materie prime che non si possano sposare con questo disco di pasta. Certo, esiste una tradizione italiana che la vuole con determinati ingredienti di base: pomodoro, mozzarella, olio extravergine d’oliva. Ma anche in Italia, come nel resto del mondo, si stanno facendo pizze con ogni alimento possibile e questa, anche se si può non essere d’accordo, è la sua potenza.
L’importante è non considerarla mai banale, non nella preparazione e, ancor meno, nella gestione della pizzeria.