
Per quale motivo a nessuna pizzeria è stata assegnata una stella Michelin, si tratti di quella tradizionale oppure della nuova stella verde che designa una particolare attenzione ai temi della sostenibilità? Gli addetti ai lavori se lo aspettano da tempo, ma la guida rossa per eccellenza sembra non voler ascoltare ragioni. Si sa, anche se spesso per vanità di qualcuno su questo particolare si glissa, le stelle vengono assegnate da Michelin ai ristoranti (e non ai cuochi). Considerato il livello qualitativo al quale sono arrivate moltissime pizzerie, sia da un punto di vista gastronomico sia anche per quel che concerne servizio sala, carta delle bevande e ambiente, c’è davvero da chiedersi perché dalla Francia non arrivino segnali di apertura.

Non è improbabile, a voler essere un po’ polemici, che si tratti del fatto che proprio perché nel territorio della casa madre quella della pizza non è neppure lontanamente una tradizione consolidata come da noi. In buona sostanza, non potendolo fare lì, non ci si accorge di quello che succede in Italia. Al di là di questi aspetti per certi versi campanilistici, anche i cuochi che operano come gli chef di ristoranti ‘stellati’ guardano con grande attenzione alla realtà della pizza, anche perché si tratta di un business interessante e a volte anche di un’importante integrazione all’attività come possono essere i ‘bistrot’ firmati. E allora ecco da un lato le iniziative estemporanee di cui è stato pioniere ormai diversi anni fa Denis Lovatel con il suo format In-Fusion, 12 pizze che nel corso di un anno sono state realizzate con il topping di cuochi di calibro: la Pu’er (dall’omonimo tè) è stata la miglior pizza in un’edizione del Gambero Rosso. Dall’altro lato le iniziative stabili che vedono protagonisti i grandi nomi e le pizza. Accade soprattutto a Milano, a partire da Cracco e dalla sua Margherita che a suo tempo ha creato polemiche a non finire, dal prezzo (ora 22 euro), all’aspetto estetico, al suo discostarsi rispetto ai sacri crismi della tradizione partenope. Del resto, questa pizza croccante e peraltro molto buona, viene servita in Galleria Vittorio Emanuele a Milano al bistrot del grande cuoco vicentino. Sempre nella metropoli lombarda sono recentemente approdati i fratelli Cerea con una costola della loro prestigiosa ‘macchina da guerra’ della ristorazione: il DaV si trova nella Torre Allianz al primo piano e qui, accanto alla loro idea di comfort food di altissimo livello, si trova una pizza i cui impasti sono stati pensati da Alessio Rovetta in tre versioni, dalla napoletana al vapore, alla pala. La margherita è venduta a 25 euro. Non poteva mancare Massimiliano Alajmo, il quale, amante della pizza, ne ha realizzato ormai sei anni fa due brevetti, una al vapore partendo dallo studio della napoletana per rendere la sua piccola, in versione sia croccante sia soffice e il più leggera e digeribile e quello che ha chiamato Mask.Calzone. Si assaggiano insieme a tante altre cose golose da Amor, locale disegnato da Philippe Starck che si trova dentro il campus di H-Farm a Roncade nel trevigiano. A Verona, nel cuore del centro storico, c’è invece il Du De Cope, pizzeria alla quale ha dato vita nel 2004 lo chef Giancarlo Perbellini, prossimo artefice della cucina di un locale dalla lunghissima storia come il 12 Apostoli. Tre sono i tipi di impasti: con farina di frumento per le pizze classiche, farina di frumento e cereali per ‘quelle dello chef e lo stesso ma in forma differente per le schiacciate. Va da sé che il minimo comun denominatore è l’altissima qualità degli ingredienti dedicati alle farciture. La pizzeria firmata da un altro grande chef creativo come Alessandro Gilmozzi di El Molin si trova a Cavalese nell’antico Palazzo Riccabona, con il Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme davanti e il Rio Gambis a fianco. Pizze classiche oppure gourmet, realizzate con l’abituale cura del cuoco trentino, con lievito madre, impasti a base di farine macinate a pietra e 72 ore di lievitazione. A questo punto sorge però spontanea la domanda: perché non riconoscere con una stella il valore di uomini come Simone Padoan e Franco Pepe? Uno nel veronese e l’altro nel casertano, spiriti estremamente differenti ma accomunati da un’idea di qualità fuori dal comune che ha portato il mondo della pizza in un alveo molto prossimo a quello dell’alta cucina, sia per la ricerca continua con cui mettono in atto le loro creazioni, sia per il livello gastronomico e di servizio raggiunto dai loro locali. E loro sono soltanto i primi di una serie di grandi innovatori che hanno trasformato il modo di intendere il piatto più celebre al mondo.