
È un mondo in continuo fermento, quello della pizza. Così come è accaduto e sta accadendo per i cuochi, anche per i pizzaioli è un momento pressoché permanente di fasti e celebrazioni quotidiane.
C’è da dire però che le trasformazioni a cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi anni in qualche modo questa attenzione la giustificano in pieno, perché la pizza e il suo universo hanno subito una rivoluzione che non ne ha comunque intaccato le origini di cibo di strada – per altro nobile – che ha saputo evolvere fino ad assurgere agli onori delle cronache gastronomiche più blasonate.

Il primo attributo che ha posto una linea di demarcazione tra la pizza per antonomasia, l’originale e inimitabile prodotto dei pizzaioli napoletani la cui arte è diventata recentemente patrimonio Unesco, è stato un termine ormai controverso e come minimo abusato qual è gourmet. Ma che cos’è allora che distingue una pizza qualunque da una pizza gourmet? C’è da fare solo un passo indietro e inquadrare il panorama di oggi. A partire dal fatto che anche a Napoli molto è cambiato dalle origini, soprattutto in termini di qualità in generale, cresciuta tanto per quel che concerne farine e impasti quanto per ciò che riguarda lievitazioni e farciture, la pizza in Italia ha avuto un’espansione e una differenziazione importante in termini di identità.
Tutto questo al netto delle polemiche mai sopite che arrivano dall’ombra del Vesuvio e raccontano di una riluttanza ancora ben viva a riconoscere forme alternative rispetto alla tradizionale, addirittura semplicemente per quel che concerne l’utilizzo di forni che non siano rigorosamente a legna, sebbene anche l’Associazione Verace Pizza Napoletana abbia recentissimamente rotto il tabù e dichiarato il suo assenso al forno elettrico.

I primi importanti movimenti tellurici del trend gourmet li ha scatenati Simone Padoan ai Tigli a San Bonifacio nel veronese con il suo stile rigoroso e una pizza completamente distante dalle logiche di immediata fruibilità, popolarità e prezzi bassi, mettendo in moto una tendenza che ha generato un numero impressionante di proseliti che hanno iniziato anche loro a servire fette di pizza la cui farcitura era (ed è) prossima a un piatto di alta cucina. A due passi da lui Renato Bosco, volto mediatico per eccellenza, oltre che grande lievitista. E poi ancora gli emiliani con Matteo Aloe (di origini calabresi, per altro) di quella Berberè che è diventata una realtà ramificata e Davide Fiorentini di O’ Fiore Mio oppure le idee azzardate ma riuscite sulla pizza dolce di Gianni di Lella de La Bufala a Maranello. Ancora, a due passi da Torino le pizze di Giulio Grasso da SP143 concepite in tandem con un cuoco da stella Michelin come Igor Macchia grazie all’appartenenza della pizzeria all’alveo di un grande ristorante come La Credenza.
In Toscana ecco un napoletanista come Gennaro Battiloro di Battil’oro che ha sposato la causa della pizza in cui gli ingredienti di farcitura sono abbinati alla mixology. Scendendo un po’ più a sud, si trovano gli alfieri della capitale con due stili differenti ma altrettanto interessanti come Gabriele Bonci e Giancarlo Casa, più panificatore il primo, più pizzaiolo il secondo. Un trend tanto pericoloso per gli abiti quanto divertente l’ha lanciato Bob Alchimia a Spicchi dalle parti di Catanzaro, dove la pizza (molto buona) si mangia rigorosamente soltanto con le mani. E infine, tra i fervidi creatori di tendenze, non può mancare Denis Lovatel della pizzeria da Ezio ad Alano di Piave nel bellunese: a partire dalla sua tonda crunch dall’impasto leggerissimo e dalla croccantezza leggendaria, è noto per il suo impegno nei confronti di temi come sostenibilità e ambiente e di recente ha creato un topping tutto vegetale a base di anguria per sostituire le proteine animali sulla pizza.
Se questi sono solo alcuni esempi delle possibili differenti espressioni di trend tra le pizze che potremmo definire gourmet, quali sono invece i punti di contatto utili a una definizione comune? La vera parola d’ordine, sembrerà banale, è qualità, l’assoluta qualità degli ingredienti, dove per ingredienti non ci limitiamo alle farciture che non dobbiamo comunque dare per scontate, ma pensiamo a un concetto allargato in cui essi sono la farina scelta per l’impasto, l’esperienza con cui il pizzaiolo la lavora che gioca con il modo in cui ne gestisce lievitazione e cottura, la capacità di fare ricerca, di non fermarsi al primo segnale di successo e di tracciare la strada per l’innovazione.
Definisce il trend chi è capace di crearlo.