È un piccolo delizioso albergo di montagna nel cuore della Val Badia quello che ospita la casa di Andrea Irsara. Il Gran Ander è un luogo in cui accoglienza e ottima cucina si muovono armoniche di pari passo, una meta del gusto che vale la pena conoscere. Lo sfondo delle montagne, un forno a legna e un ospite d’eccezione come Denis Lovatel hanno completato il quadro di un’esperienza divertente e formativa. Protagoniste, come ormai consueto, pizza e cucina.
Una pizza concepita come un tipico piatto ladino con uova, speck e patate: queste ultime dall’orto di casa, con l’aggiunta di una cialda di speck, l’uovo delle galline del paese e qualche erba selvatica raccolta la mattina presto per completare l’opera insieme a una strepitosa ricotta fresca. Racconta Lovatel: “La pizza è stata pensata con un impasto a base di farina di tipo 1, biga e un’idratazione superiore al 70%. Due le aggiunte, una piccola parte di farina di frumento e per bilanciare la parte grassa è stato usato un olio profumato al levistico che naturalmente si trova nei boschi qui vicino.
Ma a proposito di boschi ed erbe, è facile riconoscerle e distinguere le buone da quelle pericolose? Andrea Irsara spiega: “per noi le erbe sono una tradizione di famiglia che è arrivata alla terza generazione, tramandata dalla nonna al papà. In più qui abbiamo la fortuna di avere una zia e un’amica in paese che si sono specializzate e ci aiutano a distinguere un’erba dall’altra. Se ne trovano tante, ma bisogna iniziare con due o tre al massimo, magari soffermandosi sulle stesse per un’intera estate per essere certi che quelle che si andranno a usare siano buone e sicure. In stagione la zia parte alle 5 del mattino e alle 7 quando noi iniziamo è già qui.”
Continua Irsara: “Le erbe sono fondamentali per noi in cucina. D’estate lavoriamo tanto e ne facciamo tesoro, perché in inverno è tutto coperto dalla neve: ecco che fermentiamo, essicchiamo e cerchiamo di utilizzare con attenzione tutto ciò che la natura ci concede nella bella stagione. Come facevano i nostri vecchi ai tempi loro: non c’erano soldi ed erano abituati a non buttare nulla: si parla di gente di estrazione contadina che stava sui campi tutto il giorno e alla sera mangiava quello che c’era.” Anche Denis è un uomo di montagna, un luogo dove vive e che ama e rispetta: “vorrei trasmettere la sensibilità alle nuove generazioni, spiegare cos’è davvero la sostenibilità senza darla per scontata come termine di moda. E voglio comunicare attraverso quello che faccio, la mia pizza. Dal mio punto di vista le persone si devono sentire dentro il concetto di sostenibilità, perché noi possiamo anche provare a comunicarla ma non dobbiamo farlo come se fosse una cosa di moda, perché il rischio è quello che appena uscite le persone se ne dimentichino.”
Irsara ricorda quando una ventina d’anni fa veniva addirittura deriso dai colleghi per certe sue scelte legate all’utilizzo stretto del territorio: “Io queste cose le sento dentro, ci sono cresciuto. Mia nonna era una cuoca, bravissima a fare i dolci: ha vissuto due guerre durante le quali non c’era da mangiare. Mi raccontava che le bucce di patate venivano conservate e poi bruciate per fare il caffè. Adesso avere un chilo di zucchero è normale, ma allora si doveva misurare col cucchiaino.
Tutto si basava sullo scambio, perché non c’erano soldi. Era un mondo faticoso ma vero: d’estate si lavorava duro nei campi e in inverno si scolpiva e si intagliava il legno.”Ecco perché la sensibilità nei confronti di un termine di cui si tende ad abusare è forte. Sul fronte della collaborazione tra pizzaioli e chef, invece, racconta Denis: “sono stato il primo a mettere in piedi un progetto, Infusioni, per valorizzare al massimo l’interazione tra le due professionalità.
Di solito il pizzaiolo, come il panettiere, sta dietro le quinte: ore e ore dietro agli impasti per perfezionarli e dare il massimo e poi la gente veniva in pizzeria per mangiare di corsa e poi andarsene. Non doveva più essere un luogo di passaggio, ma una vera e propria destinazione. Così anche la fusione con i cuochi rappresenta uno scambio vivo e continuo, oltre che formativo.
E infine, l’impasto non è il piatto ma dev’essere realizzato pensando alla farcitura, così pizzaiolo e cuoco devono scambiare le idee.” Aggiunge Irsara: “Il nostro di cuochi è un mestiere che richiede adattamento: devi saper fare il macellaio, il pescivendolo, il pasticciere e il panettiere. Ma tutto questo dobbiamo farcelo insegnare da chi lo sa fare. E da qui si capisce che l’unione fa la forza.”