Bisogna ascoltare i camerieri!

Quando saper ascoltare il personale di sala può aiutare nel migliorare il servizio della propria attività

Mi sono preso questa sacrosanta ramanzina una sera a Roma, in un ristorante del centro. A me che dirigo una rivista dove il termine sala è pure nel titolo della testata.
Ma era un richiamo sacrosanto e ho ammesso, con grande rispetto per quell’affermazione che voleva dare valore ad una professione troppe volte bistrattata, la ragione di Altan Gini, il cameriere che l’aveva fatta.

Avevo prenotato per una cena solitaria a La Carbonara, in Campo de’ Fiori, all’ultimo minuto; sarei passato dopo una mezz’ora e il cameriere mi aveva consigliato il piano superiore. Arrivato sul posto ho optato per un tavolo all’aperto, dopo avermi consigliato due o tre postazioni Antan Gini si è rassegnato dandomi il tavolo che avevo scelto io. Mi sono seduto e il tavolo ballava sui sanpietrini sconnessi. Quando l’ho fatto notare il cameriere mi ha detto quella frase, aggiungendo che quel tavolo, in quella buca, lo sapeva che non andava bene. Una vera e propria buca che non si poteva coprire neppure con sette centimetri di solette. Solo se stava unito all’altro tavolo reggeva ma, a quel punto, diventava da quattro e, a Roma, un tavolo da quattro per un solo commensale è impossibile poterlo sfruttare.

Antan Gini è un signore albanese arrivato in Italia nel 1990, probabilmente a bordo di quella nave stracolma di persone la cui foto aveva fatto il giro del mondo, e da 24 anni fa il cameriere a La Carbonara, un locale storico – è del 1912 – sempre gestito dalla stessa famiglia. Si trova a fronteggiare, ogni giorno, il fatto che quello non è un ristorante con menu turistico, come potrebbe apparire vista la posizione. Io stesso all’inizio pensavo così. E si trova a presentare una cucina, prevalentemente romana, che vanta materie prime di assoluta qualità come la cacio e pepe con gli spaghettoni monograno Felicetti o le acciughe di Cetara a marchio Armatore, non prodotti da primo prezzo. 
 

Mangiare da solo a volte aiuta, guardarsi intorno, curiosare nei tavoli dei vicini, raccogliere brandelli di conversazione in varie lingue, vedere cosa e come bevono i turisti a Roma, come probabilmente in qualsiasi altra località italiana, ci porta a riconsiderare la conoscenza che si ha delle nostre abitudini alimentari; gli italiani mangiano per il piacere che questo comporta, gli stranieri solitamente solo per nutrirsi.
“È la carbonara il piatto più scelto” mi confida Antan Gini. Quello, del resto, che più si avvicina al gusto degli americani; non è un caso che la storia di questo piatto prenda le mosse dalle razioni K che gli americani avevano durante la seconda guerra mondiale in Italia.

Con Antan quella sera, nonostante la carenza di personale, si trovava sempre il tempo di scambiare due battute. E mi ha fatto riflettere la storia di quest’uomo che si è creato una vita e uno stile tutto italiano, che lavora da 24 anni sempre nello stesso luogo e che parla bene della famiglia proprietaria, dell’olio che mi mette in tavola dicendo che arriva dagli oliveti che questa famiglia ha fuori Roma e che quelle bottiglie si trovano solo a La Carbonara. Soprattutto mi ha dato una grande lezione; i camerieri vanno ascoltati!
 

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