Il personale che non si trova

Con problemi di gestione e organizzazione che ne hanno rivelato l’estrema fragilità dopo il periodo pandemico. Il più impellente di questi è la ricerca di personale qualificato. Sui social quest’estate appariva, ogni tre post, un appello alla ricerca di cuochi, camerieri, lavapiatti. Questi 18 mesi hanno lasciato un segno pesantissimo nel settore. Si sono perse più persone di quante ne erano state assunte negli ultimi anni: persi 513.000 nel settore ‘alloggio e ristorazione’ rispetto ai 245.000 creati negli ultimi sei anni, tra il 2013 e il 2019. Un dato allarmante che mette in discussione molte cose: a cominciare dalla qualità stessa di questo che rimane uno dei lavori più impegnativi che esistano, in ogni sua componente di sala e di cucina. 

Le motivazioni che si stanno adducendo sono molteplici, a cominciare dalla più semplicistica: meglio il reddito di cittadinanza che prendere poco di più per 14 ore di lavoro al giorno. Non è così, o meglio non è solo così. Questo lavoro si basa, quasi interamente, su un concetto che non ha un prezzo: la passione di far star bene le persone. E questa ce l’hai oppure no. 
Mi ha molto colpito un’affermazione di una ristoratrice che mi dice di aver perso la sua giovane cameriera perché era troppo impegnativo per lei dare ascolto ai clienti e quindi preferiva andare a svolgere lo stesso mestiere in un posto dove portava semplicemente il piatto in tavola. Esiste il problema e per risolverlo nessuno ha la soluzione magica. Occorrono però tre cose fondamentali: una revisione delle modalità contrattuali di lavoro, una formazione finalmente moderna e un linguaggio comunicativo che deve essere cambiato.

Partendo da quest’ultimo è necessario cambiare i termini. Umiltà, sacrificio, fatica! Sono tra le parole più usate dai comunicatori, da noi giornalisti, dagli chef quando si parla di ristorazione. Ma se al posto di utilizzare accezioni negative noi cominciassimo a parlare di competenza, reputazione e felicità che questa professione dona alle persone e, di conseguenza, anche a chi la pratica non darebbe il giusto valore a un mestiere che è, anche se non sembra, tra i più importanti per far crescere bene il pianeta?

Un mestiere che non potrà mai essere sostituito dalle macchine e, quindi, anche con un futuro certo per le prossime generazioni; una professione che regala, se la si vuol cogliere appieno, felicità e benessere alle persone; un’attività culturale, nel senso più profondo del termine, che racconta, ancora oggi, buona parte della storia dell’uomo; e, infine, un mondo, quello del cibo, che nel nostro Paese vale qualcosa come il 25% del PIL.
Non risolveremo solamente cambiando le parole i problemi che oggi affliggono la ristorazione ma a un ragazzo, al posto di parlare di umiltà (parola davvero orribile per descrivere questa professione), raccontiamo un progetto di ristorazione, coinvolgiamolo nelle scelte, ascoltiamone le parole, i suggerimenti; è probabile che faremo tutti un passo avanti.
Se poi, a questo passo, aggiungiamo il rispetto per chi lavoro, il rispetto, parola che sembra fuori tempo e invece va tenuta in vita a ogni costo allora il percorso si fa più lineare. 

Un dato colpisce più di ogni altro quando si analizzano le performance e le aspirazioni tra le diverse fasce generazionali. Per i cosiddetti millenials, ovvero coloro che oggi hanno tra i 25 e i 40 anni, quindi persone in piena occupazione, secondo molte ricerche tra cui quella di Gallup, ciò che conta è la qualità del lavoro più che la sua remunerabilità. Quella deve essere semplicemente giusta ma la disponibilità a cambiare lavoro se non c’è un progetto stimolante è la molla più importante. Per questo i bravi, quelli davvero bravi, nella ristorazione, cambiano casacca. Vanno dove c’è un disegno chiaro per il loro ruolo, dove c’è la volontà di far crescere le persone. Trattare bene il personale, farlo lavorare felice, dargli una motivazione forte, un progetto in cui credere, da condividere, è il motore più potente che si possa accendere per la riuscita stessa del vostro locale. Le persone si accorgono subito se, nel ristorante che hanno scelto per la loro serata si vive bene, si lavora bene, si mangia bene. Se ne accorgono da una serie di piccoli indizi che riguardano, prima di ogni altra cosa, il personale che li accoglie e che trasmette loro il clima che si respira tra quelle mura.

Ci sono, infine, gli altri problemi che rendono apparentemente difficoltose le soluzioni: il cuneo fiscale, gli orari di questo lavoro, per citarne due tra i più urgenti.
Tematiche che, finalmente, stanno per essere affrontate dalle istituzioni insieme alle associazioni di categoria. Ai primi di ottobre verrà convocato il Tavolo della gastronomia, un’iniziativa presa dai ministeri delle politiche agricole e dello sviluppo economico, dove si comincerà a discutere e a trovare soluzioni a questi problemi.
Nel frattempo, però, è necessario che i proprietari di locali pubblici adottino un modello imprenditoriale ben definito, chiaro negli obiettivi, rispettoso del lavoro di tutti, generoso verso l’accoglienza, etico in ogni scelta. Solo in questo modo daremo alla ristorazione il valore che merita.

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