
Un mondo a sé, un insieme di magnifiche differenze, peculiarità e dettagli da scoprire.
La Sicilia è una regione che incarna alla perfezione l’idea di confine, con le sue stratificazioni di storia e storie di civiltà e popoli che hanno lasciato le loro tracce indelebili in un’osmosi di scambi culturali contaminanti di ricchezza senza pari, così come Il dualismo arabo normanno e una conseguente identità culturale moltiplicata in secoli di storia hanno donato fenomeni artistici inimitabili. A partire dal Teatro Popolare dell’Opera dei Pupi, riconosciuto come patrimonio culturale immateriale da salvaguardare da parte dell’Unesco.
La prima volta che si arriva in Sicilia è indimenticabile, si tratti di sorvolare l’Etna in una giornata di sole ammirandone il maestoso cratere oppure di attraversare lo stretto di Messina dove Trinacria e Calabria sembrano quasi accarezzarsi. Colpisce l’azzurro del cielo, di un’intensità difficile da descrivere, piena, densa, così come quel profumo nell’aria, non importa in quale stagione e poco importa se il viaggiatore arrivi da nord o da sud. Poi nell’isola ci si addentra e si trovano paesaggi straordinari. Qui la fertilità dei terreni, una maestosa ricchezza di biodiversità vegetale e animale e la pescosità del mare hanno dato vita a una cultura alimentare incredibilmente ampia che si è arricchita nel tempo delle contaminazioni di tutti i popoli che vi sono approdati.
Per conoscerne almeno un po’ di questa regione si potrebbe partire da quel magico luogo che è l’Etna: la mineralità delle terre alle sue pendici, gli sbalzi termici importanti che regalano caratteristiche uniche alle uve che vi si coltivano e un colore che vira sul rosso alle arance. Per scendere a Catania con il profumo di mare, di pesce e zagara, magari godendo della magnifica vista di piazza del Duomo con l’elegante fontana dell’elefante, simbolo della città nota come u Liotru. Così come merita raggiungere prima Messina e poi ancora un luogo incantato come i laghi di Ganzirri, collegati a Jonio e Tirreno che si incontrano proprio in questa punta della Sicilia. Da Milazzo la tentazione di salpare verso le isole Eolie è irresistibile: sette stupendi gioielli emersi, tra colate laviche, spiagge nere e tramonti di indescrivibile bellezza, tra una fauna ittica straordinaria e piante di capperi con il loro verde intenso.

Non può mancare una tappa sui Monti Nebrodi, catena montuosa a nord che costituisce parte dell’Appennino Siculo con i suoi panorami verdissimi, dove si può trovare una pregiata razza autoctona di maiale come il famoso Suino Nero da cui si ottengono prosciutti e insaccati dal sapore intenso. E ancora merita una visita Marsala con le sue saline, lì dove nel 1773 un ricco mercante inglese, John Woodhouse, rimase affascinato da un vino locale allora noto come Perpetuum, prodotto che i contadini riservavano alle occasioni speciali e che da quel momento verrà riconosciuto fino ai nostri tempi come Marsala.
Come non prendere una barca e spingersi a lambire l’acqua di cristallo dell’isola di Favignana dove mare e cielo si mescolano in una bellezza di rara intensità e visitare le sue tonnare? Oppure muovere verso Mazara del Vallo, quella che può essere definita la città più mediterranea del Mediterraneo, a soli duecento chilometri dalle coste della Tunisia: tra Africa e Sicilia, nei fondali sabbiosi con le acque più calde e a più alta salinità si pesca il magnifico gambero rosso, di rara dolcezza e tra i crostacei più apprezzati in assoluto.

È davvero impressionante la sensazione di magnificenza, l’emozione che ci sorprende di fronte a monumenti con duemila anni di storia, frutto della dominazione greca: ci si trova ad Agrigento, nella Valle dei Templi con l’immagine immortale di bellezza di un paesaggio che scende lentamente verso il mare. “Sorgono a Chiazza le più straordinarie biddizze”: è infatti a Piazza Armerina, la città delle cento chiese, che si può ammirare la Villa Romana del Casale; scoperta solo nel 1950, dimenticata per secoli sotto una fattoria, conserva dei mosaici di una bellezza unica, spettacolo d’arte millenaria: questa è una zona in cui uno dei frutti emblema dell’isola come il fico d’india cresce particolarmente buono e dolce.
Nella città dal nome arabo Qual’at al Ghiran, Catalgirone, si trovano le magnifiche, coloratissime maioliche della scalinata di Santa Maria del Monte con i suoi centoquarantadue gradini d’arte con decorazioni che riprendono motivi isolani che vanno dal decimo al ventesimo secolo: più di centotrenta metri di bellezza che collegano l’omonima chiesa fino a Piazza del Municipio: è proprio a Catalgirone che rinascono i grani di una volta, con il pane di Timilia prodotto come si faceva un tempo, da gustare anche soltanto con un filo d’olio profumatissimo dei Monti Iblei dove si può gustare anche il Ragusano DOP, formaggio a pasta di latte vaccino di vacche modicane, di rara bontà e presidio Slow Food, apprezzato già dal ‘400 dalla corte spagnola tanto da far sviluppare un florido commercio navale tra la Sicilia e la penisola iberica.
Incastonata tra i Monti Iblei c’è Scicli, un altro magnifico esempio di barocco con i suoi orpelli che cingono monumenti, odore di zagara e case di pietra calcarea; tutto intorno ulivi, mandorli e carrubi: in questo angolo di Sicilia c’è un’interessante cucina che muove da tradizioni povere e ha riscoperto un patrimonio di sapori: fra le colture più nobili quella del fagiolo Cosaruciaru, letteralmente “cosa dolce”. Se si parla del barocco di Scicli, non è pensabile non raccontare la splendida Modica con le sue scale inerpicate su terreni scoscesi, le strette stradine che si aprono su viali alberati e nell’aria una fragranza intensa. È quella del cioccolato modicano: di derivazione azteca ne ha ereditato l’antica lavorazione, ha corpo e consistenza grezza estremamente particolari ed è un prodotto di grande e delicata eleganza, dal sapore unico. Dal cioccolato al pomodoro il salto è evidente, ma non si può non raccontare di Pachino e Marzamemi, dove il sale che arriva dall’ultimo mare della Sicilia prima dell’Africa si asciuga su una terra che ospita generose coltivazioni di un pomodoro prezioso in cui dolcezza e sapidità iodata creano un equilibrio di sapori davvero unico.

Ultima, ma soltanto perché il suo fascino complicato richiederebbe da solo un volume corposo, è una città dalle mille sfaccettature come Palermo, capoluogo della regione e quinto comune d’Italia per popolazione. Approcciare Palermo è come avventurarsi all’interno di un immenso caleidoscopio e scoprirne le inesauribili combinazioni tra colori e immagini. È bello perdersi, a Palermo, tanto fisicamente quanto con l’immaginazione. Come quando ci si trova di fronte alla magnificenza immanente di una Cattedrale che unisce idealmente arabi e normanni, musulmani e cristiani. Allo stesso modo questa è una città che con i suoi mercati aperti sa mescolare, amandolo, ogni possibile sapore, per quanto differente. Camminando lungo le sue strade, percorrendo le sue vie, si incontrano innumerevoli possibilità di gustare il cibo di strada. A partire dalle arancine, qui rigorosamente da pronunciare al femminile e da scegliere nelle versioni più classiche: abburro con besciamella, prosciutto e piselli e accarne con il ragù. Di chiara origine araba, pane e panelle sono una golosissima preparazione a base di farina di ceci, croccanti all’esterno e tenere dentro; di solito vengono servite con morbidi panini al sesamo con un po’ di limone.

Dal recupero del quinto quarto e degli scarti di macellazione che da una storia di cibo povero è diventato uno degli irrinunciabili emblemi dello street food è il pani ca meusa. Milza e polmone di vitello vengono lessati e poi rosolati nello strutto, prelevati da enormi pentoloni e serviti dentro panini al sesamo, sia in versione schetta, senza alcun altro ingrediente oppure maritata con una bella dose di caciocavallo grattugiato. Ancora un must che può tranquillamente fungere da pranzo: è lo sfincione, una sorta di focaccia alta e soffice, condita con grande generosità con ingredienti che la rendono umida e meravigliosamente morbida; salsa di pomodoro, cipolle stufate, caciocavallo, origano, acciughe e pangrattato. Va provato anche il purpu vugghiutu, servito da un abilissimo purparo in grado di estrarre un polpo da un pentolone fumante e tagliarlo a pezzi grossi in modo da servirlo in mano con una spruzzata di limone.
Altra ottima sorta di focaccia è la scacciata o schiacciata, chiamata anche mpanata, preparata con pasta di pane e con un ripieno, va da sé, molto ricco, a base di broccoli, salsiccia, tuma o un pecorino primo sale come il pepato fresco a cui spesso vengono aggiunte olive nere, acciughe, patate e cipolle. Notevoli anche mussu e carcagnuolu, ovvero muso e garretto, due scarti del manzo che si possono assaggiare scegliendo i tagli bolliti e tagliati a cubetti, serviti freddi in una “cartata” con sale e limone. Da non perdere anche la rascatura, una versione di sostenibilità a zero spreco ante litteram, una specie di polpetta realizzata friggendo i fondi dell’impasto delle panelle e dei crocché. Non può mancare, infine, un assaggio di pollanca, la pannocchia lessata che ogni bagnante sulle spiagge di Mondello almeno una volta ha gustato. In attesa di gustare qualche altro morso di un territorio che di meraviglie gastronomiche ne ha ancora a non finire.