Cosa possiamo imparare dai pizzaioli del secolo scorso?

Sembra un secolo fa e sono solo venti anni. Ma per la “Pizza” gli ultimi venti anni hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione.

Da alimento umile, popolare, di strada, a fenomeno gastronomico, culturale, sociale e mediatico. Ma veniamo alla domanda del titolo. Cosa possiamo imparare dai pizzaioli del secolo scorso? Pensiamo tante cose, legate non tanto agli aspetti tecnici, quanto a quelli umani.

Cerchiamo di chiarire. Negli ultimi anni sono stati approfondite le qualità delle farine, i mix di base per l’impasto, la reperibilità degli ingredienti di guarnizione. Anche il forno si è evoluto soprattutto nelle cotture alternative a gas ed elettrico, ma anche considerando sempre il forno a legna oggi ne conosciamo meglio di ieri il comportamento, la variazione delle temperature all’interno e il loro effetto sulle caratteristiche del prodotto finale.

Ma la pizza non è solo una questione tecnica o di assemblaggio di diversi ingredienti. La pizza è qualcosa di più come tutti i prodotti che sono fatti interamente a mano dall’uomo dall’inizio alla fine. E’ il valore aggiunto che fa, per l’appunto, la differenza.

E qui arriviamo al nocciolo della domanda: Cosa possiamo imparare dai pizzaioli del secolo scorso? Dopo la premessa di cui sopra cerchiamo di rispondere. Pensiamo “la dedizione e il rispetto per il loro lavoro”.

LA DEDIZIONE E IL RISPETTO PER IL LORO LAVORO

Nel secolo scorso un pizzaiolo non aveva, come oggi, esempi di fronte a sé che potevano essere da traino. Era un mestiere che non portava benefici di contorno, non diventavi famoso, non diventavi ricco, non diventavi mediatico, non potevi pensare di ricevere attestati e gloria, viaggiare ed essere stimato e riverito come una star. Era un mestiere duro, faticoso. Ma loro l’hanno portato avanti, raffinandolo ognuno con piccoli gesti, invenzioni fino a traghettarlo al millennio che poi l’ha fatto esplodere. Ma “i millennials” la generazione attuale, ha trovato un terreno fertile, una figura professionale (quella del pizzaiolo) che era già ormai definita e che mancava solo di prendere il largo.

E una nota di merito va soprattutto ai “Centenari” al gruppo di Maestri pizzaioli di Napoli (la cui pizzeria ha oltre un secolo di vita) che hanno assicurato la continuità del mestiere costruendone la storia e creando le basi per il riconoscimento mondiale dell’arte del pizzaiolo, passando il testimone da una generazione all’altra. Il momento più duro è stato secondo noi nei primi anni del duemila. Quando è scattata la molla e la moda della cucina, tutti volevano fare lo chef, ma il pizzaiolo era guardato come un essere quasi inferiore. In quegli anni nelle pizzerie fuori Napoli (che già esistevano numerose) era difficile trovare giovani pizzaioli. Era un mestiere sempre più in mano ad una generazione matura che stava in molti casi diventando anziana, con il rischio quindi che svanisse con la loro inevitabile fine. La nuova generazione allora sembrava non credesse più in quest’antico mestiere, “Chapeau” quindi a coloro che hanno tenuto duro, agli Starita, ai Lombardi, ai Surace e agli altri di questo storico gruppo.

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