È altamente probabile che una ragione ci sia, se si sente spesso parlare di ‘arte dell’accoglienza’. Questa, va da sé, dovrebbe valere per qualunque genere di luogo di ristoro aperto al pubblico, dal più umile al più sontuoso, dal piccolo bar al grande albergo, passando per pizzerie e ristoranti. Insomma, ovunque si possa pensare a un’idea di ospite. Già da un punto di vista semantico la prima differenza che salta subito all’occhio è proprio quella tra ‘ospite’ e ‘cliente’. È decisamente ovvio che dare il benvenuto in un bar di periferia o in un hotel cinque stelle lusso appaia come un mestiere differente, ma in realtà tanto l’esercente che lavora praticamente da solo quanto il dipendente di una grande organizzazione dovrebbero avere in mente un concetto molto semplice. Si tratta infatti del cuore di quella che dovrebbe essere la formazione di base per chi ogni giorno si relaziona con persone le cui aspettative variano in funzione di una qualità attesa ma sono assolutamente strategiche per l’obiettivo principe: far star bene chi varca la soglia di ‘casa mia’. Ospite quindi, prima ancora che cliente, fermo naturalmente il fatto che nessuno mette in discussione la valenza economica del rapporto che si crea.
Sappiamo bene che questo non è un momento facile per il mondo della ristorazione in generale: usciti (si spera) dalla pandemia, siamo subito entrati in una congiuntura estremamente complicata che vede sovrapporsi una forte carenza di personale a un preoccupante incremento dei costi di gestione.
Entrando comunque specificamente nel merito del nostro argomento, la sala e le sue regole, vale la pena sottolineare che già all’ingresso si compie un passo fondamentale per la buona riuscita dell’esperienza dell’ospite. Questa è legata al modo in cui viene percepita l’accoglienza. Basta un istante per iniziare col piede giusto. Oppure con quello sbagliato.
Il primo impatto: la potenza del sorriso.
Nulla può essere allo stesso tempo più invitante (o più disarmante) di un bel sorriso. Chi arriva in un locale si aspetta di essere accolto nel migliore dei modi. Anche in un momento concitato, nell’orario più caldo, quando l’ospite sarà magari costretto ad attendere il suo turno, deve sentirsi accudito. Va detto che non trovare un’accoglienza come si deve vale tanto per lo stellato quanto per la pizzeria o la trattoria e sebbene possa apparire (e forse anche sia) più grave nel primo caso, il risultato è sempre e comunque una cattiva disposizione d’animo da parte di chi inizia la serata in questo modo. È quindi fondamentale fare in modo che le persone incaricate del presidio all’ingresso siano quelle giuste, partendo da una formazione adeguata e senza dare per scontato che tutti i dipendenti siano ugualmente predisposti.
La professionalità.
Si tratta di una macro-regola che di fatto comprende in sé tutte le altre, un concetto non affatto semplice da definire, perché contiene in sé aspetti tecnici e di esperienza combinati tra loro. Innanzitutto un atteggiamento professionale implica la conoscenza delle regole base di una gestione di sala (dovrebbero essere scontate, ma spesso non accade), a loro volta legate a fattori che sono un insieme di competenze tecniche imprescindibili e di un apprendimento sul campo condizionato dalle sfumature che ciascun operatore fa sue nel corso del tempo. Si tratta allora di mettere a proprio agio chi si si accomoda a tavola, entrando nella propria parte proprio come in una pièce teatrale. Certo non è facile ‘lasciar fuori’ tutti i problemi e le vicissitudini del quotidiano, ma il mestiere di sala richiede serenità, perché la tensione si trasmette in modo irrimediabile, compromettendo la buona riuscita dell’esperienza.
La pulizia.
Un ambiente pulito è di per sé un primo indice che anche dietro le quinte, ovvero in cucina, ci si possa aspettare la stessa cosa. Così vale per il bagno, un altro indicatore della cura con cui viene gestito un locale. E poi ci sono le persone: troppe volte, infatti, si assiste a manifestazioni di sciatteria da parte degli addetti ai lavori. Questo non significa affatto che il personale di servizio si debba presentare ingessato, magari anche in giacca e cravatta, perché è molto meglio vestire in modo informale e pulito, piuttosto che presentarsi con maniche di camicia slabbrate, calzature sporche, unghie non curate, macchie qua e là sugli abiti. Altra questione sono gioielli, braccialetti, anelli: qui la faccenda si fa più soggettiva e ha a che fare con il mood del luogo; non è una tanto una questione di pulizia in senso igienico, quindi (per la sala, perché in cucina gli ammennicoli non dovrebbero essere ammessi), ma in senso estetico.
L’attenzione ai dettagli.
Anche in questo caso non importa quale sia il genere di locale, perché i dettagli possono fare la differenza. A partire da un menu scritto in italiano corretto e senza gli strafalcioni che purtroppo capita spesso di trovare: non è così complicato fare un controllo. Vale la stessa cosa per la carta delle bevande, si tratti di vini o birre, in cui troppe volte ci sono errori palesi. Possono sembrare forse particolari di poca importanza, ma in realtà anche questi sono utili a capire la qualità dell’impegno profuso da parte di chi governa i processi di sala. Altro genere di dettagli hanno a che fare con aspetti legati alla coerenza tra tipologia di luogo, prezzi e particolari come arredi, tovagliato, suppellettili, bicchieri e così via: difficile accettare per esempio un menu rabberciato in un locale che vuol darsi un tono.
Ascoltare, prima di parlare.
Non si sa mai chi siano le persone che siedono a tavola, perciò, per chi si occupa del servizio va bandita la convinzione di essere sempre più preparati dell’interlocutore. Accade infatti spesso di ascoltare la recita di una litania nella quale entrano particolari imprecisi se non decisamente sbagliati, sia nel raccontare un piatto sia nello spiegare un vino. È quindi sempre bene farsi un’idea di chi si abbia di fronte, in modo tale da non incorrere in gaffes che potrebbero rendere la conversazione ridicola. Allo stesso modo la supponenza, di fronte a un ospite, è sempre e comunque un errore, specie se è l’ospite stesso a manifestare spocchia. Meglio far buon viso a cattivo gioco e far finta di nulla, soprattutto quando si ha a che fare con qualcuno convinto di aver ragione a prescindere, perché succede anche che un cliente possa contestare una bottiglia con il tappo a vite per l’odore di tappo. Allo stesso modo, meglio non intromettersi in una discussione se non su richiesta dell’ospite la cui privacy è sacrosanta, sempre.